SENTIERI D'INCHIOSTRO - VOLUME 2
UNITÀ 6 - IL RACCONTO DI PAURA
  
                            

CHARLES DICKENS
L’ARMADIO


I vecchi armadi possono nascondere delle brutte
sorprese, come in questo celebre racconto.


Più o meno quarant’anni fa ho conosciuto un uomo
che prese in affitto un vecchio appartamento
diroccato1 e muffito,2 in uno dei palazzi più antichi
del quartiere. Su di esso le donnette raccontavano
un mucchio3 di strane storie, e certo non aveva un
aspetto allegro, ma l’uomo di cui parlo era in miseria,4
l’appartamento costava poco: e questo era un motivo
più che sufficiente per affittarlo, fosse anche stato
in condizioni dieci volte peggiori. L’inquilino fu
costretto a comperare i pochi mobili tarlati5 che vi
si trovavano, tra i quali spiccava un enorme armadio
di legno con grandi sportelli a vetri e tendine
interne di stoffa verde: niente di più inutile, per
lui che non aveva carte da metterci dentro e che si
portava addosso, senza nessuna fatica, tutto il proprio
guardaroba.6
Aveva ormai trasferito là tutte le sue cose, che non
arrivavano a riempire un carro, disponendo poi i
mobili in modo tale che le quattro sedie figurassero
come una dozzina; quindi si era accomodato accanto
al fuoco, bevendo il primo bicchiere di due bottiglie
di whisky comperate a credito.7 Stava appunto
chiedendosi se sarebbe mai riuscito a pagarle, e
fra quanti anni, quando lo sguardo gli cadde sugli
sportelli a vetri dell’armadio.
«Se non mi avessero obbligato a comperare quel
brutto mobile al prezzo di stima, avrei potuto usare il
denaro per qualcosa di più utile. Ti assicuro vecchio
mio» continuò, rivolgendosi all’armadio, visto che non
c’era nessun altro con cui parlare «che se la fatica
di farti a pezzi non fosse più grande di quel che ne
ricaverei, in un attimo diventeresti un bel fuoco di
legna.»
Aveva appena finito di parlare che dall’armadio
sembrò levarsi8 una voce flebile e lamentosa.
L’uomo sussultò, ma dopo un attimo di riflessione
decise che doveva trattarsi di qualche giovanotto
dell’appartamento vicino, tornato a casa dopo una
cena fuori; così mise i piedi sugli alari9 e ravvivò il
fuoco con l’attizzatoio.10 In quel momento, però, la
voce si fece udire un’altra volta, e uno degli sportelli
si aprì lentamente, rivelando una figura smagrita e
pallida, vestita d’un abito sudicio e consunto,11 in
piedi dentro l’armadio.
L’apparizione era alta e scarna, il suo viso esprimeva
un’ansia disperata e c’era qualcosa, nel colore della
pelle, nella magrezza e nell’aspetto innaturale del
corpo, che è difficile vedere in un uomo in carne e
ossa.
«Chi sei?» chiese l’inquilino, bianco come un
cencio,12 afferrando l’attizzatoio e mirando alla testa
dell’uomo.
«Chi sei?» ripeté.
«È inutile che tenti di colpirmi con l’attizzatoio»
rispose l’altro. «Se anche me lo tirassi con tanta
precisione da centrarmi, mi passerebbe attraverso,
senza incontrare nessuna resistenza, e finirebbe per
urtare contro il legno alle mie spalle. Io sono uno
spettro.»
«E che cerchi qui?» farfugliò l’inquilino.
«In questa stanza» rispose l’apparizione «si è
consumata13 la mia rovina. Qui mi sono ridotto
all’elemosina,14 insieme ai miei figli. In quest’armadio
erano conservati gli incartamenti di un processo
interminabile, accumulati anno dopo anno. Questo è
il luogo in cui, quando il dolore e le speranze deluse
infine mi uccisero, due astuti mascalzoni si divisero
il denaro per il quale avevo lottato, durante un’intera
e infelicissima vita, così che ai miei sventurati figli
non toccò neanche un centesimo. Qui costrinsi alla
fuga i miei nemici, terrorizzandoli, e da allora, ogni
notte, nelle ore in cui mi è concesso fare ritorno sulla
terra, vengo a visitare i luoghi che hanno visto i miei
interminabili patimenti.15 Questa casa è mia: lasciala a
me.»
«Se hai intenzione di continuare ad apparire qui»
disse l’inquilino, che durante il lungo discorso del
fantasma aveva ripreso un po’ di coraggio «sarò ben
contento di rinunziare ad abitarci, ma se permetti
vorrei domandarti una cosa.»
«Parla» disse solennemente lo spettro.
«Ecco, non intendo farne un caso personale» disse
l’inquilino «perché la mia osservazione riguarda
la maggior parte degli spettri di cui ho sentito
parlare: ma non ti sembra assurdo che, pur avendo la
possibilità di andartene a spasso nei più meravigliosi
angoli della terra (immagino che per te le distanze
non esistano), tu debba tornare per l’eternità proprio
qui, dove sei stato così infelice?»
«Caspita, è vero, non ci avevo mai pensato prima
d’ora» disse lo spettro.
«Vedi» proseguì l’inquilino «questa stanza è piuttosto
squallida. Guardando nell’armadio si può intuire che
deve essere discretamente infestato dagli insetti, e
credo proprio che non ti sarebbe difficile trovare un
alloggio migliore; per non dire del clima di Londra,
che è veramente orribile.»
«Giustissimo» disse educatamente lo spettro.
«È un’idea che non mi era mai venuta: cambierò
immediatamente.»
Infatti cominciò a dileguare16 mentre ancora stava
parlando, e già le gambe erano sparite.
«E se sarai così gentile» gli gridò l’inquilino «da
suggerire alle dame e ai gentiluomini che adesso
vagano per le vecchie case vuote, quanto sia meglio
altrove, sarai un benefattore dell’umanità.»
«Sì, lo farò» disse lo spettro. «Siamo stati dei veri
imbecilli! Davvero non capisco come si possa essere
tanto stupidi.»
Così dicendo lo spettro svanì e, quel che più conta,
non è più tornato.

C. Dickens, L’armadio, in Fantasmi e C, a cura di F. Lazzarato, Juvenilia

1 diroccato: in rovina.
2 muffito: ammuffito.
3 un mucchio: molte.
4 in miseria: in povertà.
5 tarlati: rovinati dai tarli, gli insetti che
scavano nei mobili di legno.
6 guardaroba: vestiti.
7 comperate a credito: comprate ma
un po’ alla volta.
8 levarsi: uscire.
9 alari: sostegni della legna nel fuoco.
10 attizzatoio: strumento per
ravvivare il fuoco.
11 sudicio e consunto: sporco e consumato.
12 cencio: lenzuolo.
13 si è consumata: si è verificata.
14 ridotto all’elemosina: sono diventato povero.
15 patimenti: sofferenze.
16 dileguare: svanire, scomparire.


                            


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