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Empedocle e Anassagora

◗ Empedocle: le radici di tutte le cose


Il primo dei pensatori che cercò di risolvere l’aporia eleatica fu Empedocle , nato ad Agrigento intorno al 484/481 a.C. e morto intorno al 424/421 a.C. Ebbe una fortissima personalità: fu filosofo, mistico, taumaturgo, medico e fu attivo anche nella vita pubblica. Compose un poema Sulla natura e un Carme lustrale, di cui ci sono pervenuti frammenti. Appartengono alla leggenda le narrazioni sulla sua fine: secondo alcuni, sarebbe scomparso durante un sacrificio; secondo altri, invece, si sarebbe gettato nell’Etna .

Per Empedocle, così come per Parmenide, sono impossibili il “nascere” e il “perire” intesi come un venire dal nulla e un andare nel nulla, perché l’essere è, il non essere non è. Quindi “nascita” e “morte” non esistono, e ciò che gli uomini hanno chiamato con questi nomi sono invece il mescolarsi e il dissolversi di alcune sostanze che permangono eternamente uguali e indistruttibili. Tali sostanze sono l’acqua, l’aria, la terra, e il fuoco, che Empedocle chiamò «radici di tutte le cose».
Gli ionici avevano scelto chi l’una chi l’altra di queste realtà, come principio, facendo derivare le altre mediante un processo di trasformazione. La novità di Empedocle consiste nel fatto di aver proclamato l’inalterabilità qualitativa e l’intrasformabilità di ciascuna.
Nasce così la nozione di elemento, appunto come qualcosa di originario e di qualitativamente immutabile, capace solo di unirsi e separarsi spazialmente e meccanicamente rispetto ad altro. Si tratta di una nozione che poteva nascere solo dopo l’esperienza eleatica, e appunto come tentativo di superamento di quella.
In tal modo prende forma la cosiddetta concezione pluralistica, che supera la visione monistica degli ionici, oltre che degli eleati. La radice o il principio delle cose non è unico, ma strutturalmente molteplice. Il pluralismo come tale, a livello di consapevolezza critica (così come il concetto di elemento), poteva affermarsi solo come risposta al monismo radicale degli eleati e per superamento di esso.
Vi sono, dunque, quattro elementi, che, unendosi, danno origine alla generazione delle cose e, separandosi, danno origine alla loro corruzione. Ma quali sono le forze che li uniscono e li separano?
Empedocle introdusse le forze cosmiche dell’Amore o dell’Amicizia (philía) e dell’Odio o Discordia (neîkos), causa, rispettivamente, dell’unione e della separazione degli elementi. Tali forze, secondo alterna vicenda, predominano l’una sull’altra per periodi di tempo costanti fissati dal destino. Quando predominano l’Amore o l’Amicizia, gli elementi si raccolgono in
unità; quando predomina la Discordia, invece, si separano.

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Contrariamente a quanto di primo acchito si potrebbe pensare, il cosmo non nasce quando prevale l’Amore o l’Amicizia, perché il totale prevalere di questa forza fa sì che gli elementi si raccolgano insieme a formare una compatta unità, che Empedocle chiama Uno o “Sfero” (che ricorda da vicino la sfera Parmenide ).
Invece, quando prevale assolutamente l’Odio o la Discordia, gli elementi sono del tutto separati, e neppure in questo caso esistono le cose e il mondo.
Il cosmo e le cose del cosmo nascono nei due periodi di passaggio, che vanno dal predominio dell’Amicizia a quello della Discordia e, poi, dal predominio della Discordia a quello dell’Amicizia. In ciascuno di questi periodi si ha un progressivo nascere e un progressivo distruggersi di un cosmo, che, necessariamente, suppone l’azione congiunta di ambedue le forze. Il momento della perfezione si ha non nella costituzione del cosmo, ma nella costituzione dello Sfero.
Molto interessanti sono le riflessioni di Empedocle circa il fenomeno della conoscenza umana.
Dalle cose e dai loro pori si sprigionano effluvi che colpiscono gli organi dei sensi e le parti simili dei nostri organi riconoscono le parti simili degli effluvi provenienti dalle cose: il fuoco conosce il fuoco, l’acqua l’acqua, e così via. Nella percezione visiva il processo è invece inverso, e gli effluvi partono dagli occhi, ma resta fermo il principio che il simile conosce il simile. Il pensiero, in questa visione arcaica della conoscenza, ha il suo veicolo nel sangue e ha sede nel cuore. Di conseguenza, il pensare non è prerogativa esclusiva dell’uomo.
Nel Carme lustrale Empedocle faceva proprie e sviluppava le concezioni orfiche e si presentava come profeta e messaggero delle medesime. Egli esprimeva, in suggestivi versi, il concetto che l’anima dell’uomo è un demone bandito dall’Olimpo a causa di una sua colpa originaria, e gettato in balia del ciclo delle nascite sotto tutte le forme di viventi per espiare la colpa: «Uno di essi sono anch’io, fuggiasco dagli dei ed errante, / perché fede prestai nella furente contesa […] / perché fui un tempo fanciullo e fanciulla, / arbusto e uccello e muto pesce del mare […]». Nel poema egli addita le regole di vita atte a purificarsi e a liberarsi dal ciclo delle reincarnazioni, e a ritornare a essere tra gli dei «d’umane doglie liberati, indenni, inviolati».
Fisica, mistica e teologia nel pensiero di Empedocle formano una unità compatta. Divine, per lui, sono le quattro “radici”, ossia acqua, aria, terra e fuoco; divine sono le forze di Amicizia e Odio; Dio è lo Sfero; demoni sono le anime, che, come tutto il resto, sono costituite dagli elementi e dalle forze cosmiche.
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Fra i due poemi empedoclei, contrariamente a quanto molti hanno pensato, c’è unità d’ispirazione e niente affatto antitesi fra dimensione “fisica” e dimensione “mistica”. La difficoltà è, semmai, quella opposta: in questo universo in cui tutto è “divino”, compreso lo stesso Odio, non si vede che cosa non lo sia, e come “anima” e “corpo” possano essere in contrasto, giacché derivano dalle medesime “radici”. Solo Platone tenterà di dare risposta a questo problema.

◗ Anassagora di Clazomene


Anassagora prosegue il tentativo di risolvere la grande difficoltà suscitata dalla filosofia degli eleati. Nato intorno al 500 a.C. a Clazomene e morto intorno al 428 a.C., Anassagora operò per un trentennio ad Atene . Fu probabilmente proprio suo il merito di aver introdotto il pensiero filosofico in questa città, destinata a diventare la capitale della filosofia antica. Scrisse un trattato Sulla natura, di cui ci sono pervenuti frammenti significativi.
Anche Anassagora si dichiara perfettamente d’accordo sull’impossibilità che il non essere sia e che quindi “nascere” e “morire” costituiscano eventi reali: «Ma il nascere e il morire – egli scrive – non considerano correttamente i Greci: nessuna cosa infatti nasce e muore, ma a partire da cose che sono si produce un processo di composizione e divisione; così dunque dovrebbero correttamente chiamare il nascere comporsi e il morire dividersi». Queste “cose che sono”, che, componendosi e scomponendosi, danno origine al nascere e al morire di tutte le cose, non possono essere solo le quattro radici di Empedocle . Acqua, aria, terra e fuoco sono, infatti, ben lungi dallo spiegare le innumerevoli qualità che si manifestano nei fenomeni. I semi (spérmata) o elementi da cui derivano le cose dovranno essere tanti quante sono le innumerevoli quantità delle cose, appunto «semi aventi forme, colori e gusti di ogni genere», vale a dire infinitamente vari. Questi semi sono, dunque, l’originario qualitativo pensato eleaticamente non solo come ingenerabile (eterno), ma anche come immutabile (nessuna qualità si trasforma nell’altra, essendo appunto originaria). Insomma, questi “molti” originari sono ciascuno, come Melisso pensava, l’Uno.


Ma questi semi non sono solo infiniti di numero presi nel loro complesso (infinite qualità), ma anche infiniti presi ciascuno singolarmente, ossia sono infiniti anche in quantità: non hanno limite in grandezza (sono inesauribili) e nemmeno nella piccolezza, perché si possono dividere all’infinito, senza che la divisione arrivi a un limite, ossia senza che arrivi al nulla (dato che il nulla non è). Si può, dunque, dividere all’infinito qualsivoglia seme (qualsiasi sostanza-qualità) [pag.71] in parti sempre più piccole, e le parti che si otterranno saranno sempre della medesima qualità. Proprio per queste caratteristiche di essere-divisibili-in-parti-che-sono-sempre-uguali, i semi sono stati chiamati omeomerie (il termine compare in Aristotele, ma non è impossibile che sia anassagoreo), che vuol dire “parti similari”, “parti qualitativamente eguali” (che si ottengono quando si divide ciascuno dei semi).
In origine le omeomerie costituivano una massa in cui tutto era «mescolato insieme», in modo che «nessuna si distingueva». Successivamente una divina Intelligenza determinò un movimento che dalla caotica mescolanza originaria produsse una ordinata mescolanza, da cui scaturirono tutte le cose. Ciascuna e tutte le cose, di conseguenza, sono ben ordinate mescolanze, in cui esistono tutti i semi di tutte le cose, anche se in misura piccolissima, variamente proporzionati. È la prevalenza di questo o di quest’altro seme che determina la differenza delle cose. Perciò, dice giustamente Anassagora : «Tutto è in tutto»; o anche: «In ogni cosa c’è parte di ogni cosa». Nel chicco di grano prevale un dato seme, ma vi è incluso tutto, in particolare il capello, la carne, l’osso, ecc.: «Come infatti – egli dice – potrebbe prodursi da ciò che non è capello il capello e la carne da ciò che non è carne?». È dunque per questo motivo che il pane (il grano), mangiato e assimilato, diventa capello, carne, e tutto il resto: perché nel pane ci sono i “semi di tutto”. Così il filosofo di Clazomene tentava di salvare l’immobilità sia “quantitativa” sia “qualitativa”: nulla viene dal nulla né va nel nulla, ma tutto è nell’essere da sempre e per sempre, anche la qualità apparentemente più insignificante.
La grandiosa intuizione di Anassagora di un principio che è una realtà infinita, separata da tutto il resto, la “più sottile” e “più pura” delle cose, uguale a se stessa, intelligente e sapiente porta a un affinamento notevolissimo del pensiero dei presocratici: non siamo ancora alla scoperta dell’immateriale ma siamo certamente allo stadio che immediatamente lo precede. Platone e Aristotele, pur apprezzando questa scoperta, lamentano il fatto che Anassagora non abbia utilizzato l’Intelligenza in modo sistematico, ma solo quando non sapeva trarsi d’impaccio e che spesso abbia preferito continuare a spiegare i fenomeni con i modelli usati dai precedenti filosofi. Ma proprio l’impatto con Anassagora segnerà una svolta decisiva nel pensiero di Platone, il quale ci dice espressamente, per bocca di Socrate, di aver imboccato la nuova strada della metafisica per sollecitazione e insieme per delusione provocata dalla lettura del libro di Anassagora .


2.L’Atomismo

◗ Leucippo e Democrito


L’ultimo tentativo di rispondere ai problemi sollevati dall’Eleatismo, restando nell’ambito della filosofia della physis, è stato compiuto da Leucippo e da Democrito con la scoperta del concetto di atomo.
Leucippo , nativo di Mileto, venne in Italia, a Elea (dove conobbe la dottrina eleatica), verso la metà del secolo V a.C., e da Elea passò ad Abdera, dove fondò la Scuola che fu portata al massimo livello da Democrito .
Democrito fu di poco più giovane del maestro. Nacque ad Abdera forse intorno al 460 a.C. e morì molto vecchio, qualche lustro dopo Socrate . Gli vengono attribuiti numerosissimi scritti; ma, probabilmente, l’insieme di queste opere costituiva il corpus della Scuola, in cui erano confluite anche quelle del maestro e di qualche discepolo. Compì lunghi viaggi e acquisì una cultura enorme, in svariati ambiti, forse la più vasta che fino a quel momento un filosofo avesse raggiunto.
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Anche gli atomisti affermano l’impossibilità del non essere, e ribadiscono che il nascere non è che un “aggregarsi di cose che sono”, e il morire un “disgregarsi”, o meglio un separarsi delle medesime. Ma è nuovissima la concezione di queste realtà originarie. Si tratta di un «infinito numero di corpi, invisibili per piccolezza e volume».
Tali corpi sono indivisibili e perciò sono atomi (in greco atomo significa il non-divisibile) e, naturalmente, ingenerabili, indistruttibili, immutabili. In un certo senso questi atomi sono più vicini all’essere eleatico che non alle quattro “radici” o elementi di Empedocle, e ai “semi” o omeomerie di Anassagora . Essi sono infatti qualitativamente indifferenziati; sono tutti quanti un essere-pieno allo stesso modo, e sono fra loro differenti solo nella forma o figura geometrica, e come tali mantengono ancora l’uguaglianza dell’essere eleatico di sé con sé (assoluta indifferenza qualitativa). Gli atomi dei filosofi di Abdera sono, dunque, la frantumazione dell’Essere-Uno eleatico in infiniti “esseri-uni”, che aspirano a mantenere il maggior numero possibile di caratteri dell’Essere-Uno eleatico.
All’uomo moderno, “atomo” evoca inevitabilmente significati che il termine ha acquistato nella fisica postgalileiana. Invece nei filosofi di Abdera l’atomo reca il sigillo di un modo di pensare squisitamente greco. Esso indica una originaria forma, ed è, quindi, atomo-forma, ossia forma indivisibile. L’atomo si differenzia dagli altri atomi, oltre che per figura, anche per ordine e per posizione. E le forme, così come la posizione e l’ordine, possono variare all’infinito. Naturalmente, l’atomo non è percepibile con i sensi, ma solo con l’intelligenza. L’atomo è, dunque, la forma visibile all’intelletto. L’atomo, per essere pensato come “pieno” (di essere) suppone necessariamente il “vuoto” (di essere, e quindi il non essere). Il vuoto, quindi, è necessario così come il pieno: senza vuoto gli atomi-forme non potrebbero differenziarsi e nemmeno muoversi. Atomi, vuoto e movimento sono la spiegazione di tutto.
Risulta chiaro come gli atomisti abbiano cercato di superare la grande aporia eleatica e cercato di salvare, a un tempo, la “verità” e l’“opinione”, ossia i “fenomeni”. La verità è data dagli atomi, che si diversificano fra di loro solamente per le differenti determinazioni geometrico-meccaniche (figura, ordine e posizione) e dal vuoto; i vari fenomeni e le loro differenze derivano dal diverso modo in cui gli atomi si aggregano e dall’ulteriore incontro delle cose da essi prodotte con i nostri sensi. Scrive Democrito : «Opinione il freddo, opinione il calore; verità gli atomi e il vuoto». È questo, certamente, il più ingegnoso tentativo di giustificare l’opinione (la doxa, come la chiamavano i Greci) che si sia avuto nell’ambito dei presocratici.
Gli studi moderni hanno dimostrato che bisogna distinguere nell’Atomismo originario tre forme di movimento.
• Il movimento primigenio degli atomi doveva essere un movimento caotico come il volteggiare in tutte le direzioni del pulviscolo atmosferico che si vede nei raggi di sole che filtrano attraverso le finestre.
• Da questo deriva un movimento vorticoso che porta gli atomi simili ad aggregarsi fra loro e gli atomi diversi a disporsi in modo diverso e a generare il mondo.
• Infine, c’è un movimento degli atomi che si sprigionano da tutte le cose (che sono composti atomici) e che formano gli effluvi (un esempio tipico è quello dei profumi).
Poiché gli atomi sono infiniti, è evidente che infiniti sono i mondi che da essi derivano, diversi l’uno dall’altro (ma, talora, anche identici, essendo possibile, nelle infinite varietà di combinazioni, il verificarsi di una identica combinazione). Tutti i mondi nascono, si sviluppano e poi si corrompono, per dare origine ad altri mondi, ciclicamente e senza termine.
Gli atomisti sono passati alla storia come coloro che il mondo “a caso” pongono. Ma questo non vuol dire che essi non assegnano cause al nascere del mondo (queste cause sono, infatti, quelle sopra spiegate), ma che non assegnano una causa intelligente, una causa finale. L’ordine (il cosmo) è effetto di un incontro meccanico degli atomi, non progettato e non prodotto da un’intelligenza. La stessa intelligenza segue e non precede il composto atomico. Ciò non toglie, tuttavia, che gli atomisti abbiano indicato in atomi in certo senso privilegiati, lisci, sferiformi e di natura ignea i costitutivi dell’anima e dell’intelligenza. E, secondo precise testimonianze, Democrito avrebbe considerato tali atomi addirittura come il divino.
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La conoscenza deriva dagli effluvi di atomi che si sprigionano da tutte le cose (come sopra abbiamo detto) e che vengono a contatto con i sensi. In questo contatto gli atomi simili fuori di noi impressionano quelli simili in noi, sicché il simile conosce il simile, analogamente a quanto già Empedocle aveva detto. Ma Democrito ha insistito altresì sulla differenza fra conoscenza sensoriale e conoscenza intellegibile: la prima ci dà solo l’opinione, la seconda la verità, nel senso sopra indicato.
Di Democrito ci sono pervenuti numerosi frammenti di carattere etico che, per il contenuto e la forma, sembrano provenire dalla tradizione della sapienza greca, più che dai suoi principi ontologici. L’idea centrale è che l’«anima è la dimora della nostra sorte», e che nell’anima appunto e non nelle cose esteriori o nei beni del corpo sta la radice della felicità, o dell’infelicità. Una sua massima mostra, infine, come in lui fosse già matura una visione cosmopolitica: «Ogni paese della terra è aperto all’uomo saggio: perché la patria dell’animo virtuoso è l’intero universo».

◗ Diogene e Archelao: il ritorno al monismo dei primi filosofi


Gli ultimi naturalisti criticano i pluralisti e ritornanano alla ricerca di un unico principio. Diogene di Apollonia combina le tesi di Anassimene con quelle di Anassagora, ritenendo che il principio sia aria-intelligenza, di natura infinita: introduce nella spiegazione del mondo il concetto di fine; lo scopo che le cose hanno dipende dall’intelligenza del principio da cui derivano. Archelao di Atene assume una posizione molto vicina a quella di Diogene di Apollonia. Fu un maestro di Socrate .