Pechino
Xi’an
Macao
1557
Manila
Yunnan
Nanchino
Suzhou
Hangzhou
Canton
R U S S I A
I N D I A
INDONESIA
FILIPPINE
FORMOSA
GIAPPONE
Golfo
del Bengala
OCEANO
PACIFICO
1.
I Gesuiti si distinsero fra tutti gli ordini
religiosi per la loro attività missionaria in
Oriente. Il loro metodo di evangelizza-
zione si fondava sul dialogo e sulla
comprensione, sullo studio della cultura
orientale nella quale cercavano punti di
contatto con il cristianesimo.
2.
Padre Matteo Ricci (1552-1610) fu
tra i missionari più attivi in Cina: fondò a
Pechino un’accademia, compose un dizio-
nario bilingue cinese-portoghese, tradusse
libri europei. I suoi successori portarono
dall’Europa intere biblioteche e strumenti
come il telescopio, nel tentativo di pro-
muovere uno scambio culturale.
3.
L’attività dei Gesuiti in Oriente fu
indebolita dalla stessa Chiesa di Roma,
perplessa per le conseguenze che
quell’atteggiamento tollerante verso
una popolazione non cristiana poteva
comportare in Occidente. Si temeva
infatti che il modello cinese favorisse
l’idea, sostenuta peraltro da molti
intellettuali europei, di una indipen-
denza della morale dalla religione.
4.
Dai porti cinesi passavano navi e mercanti por-
toghesi, olandesi e spagnoli; essi compravano pro-
dotti orientali da rivendere all’aristocrazia europea,
che nel Settecento aveva sviluppato il gusto per
l’esotico e per i prodotti orientali. Le cineserie inva-
sero i salotti delle gentildonne occidentali: non
c’era castello, villa o palazzo che non avesse una
stanza arredata con gusto cinese o un giardino
che non presentasse un padiglione cinese.
5.
La Cina non accolse mai la
cultura europea. Gli imperi orien-
tali furono generalmente gelosi
della loro identità e per questo
chiusi alle innovazioni dell’Occi-
dente: il contatto con un mondo
diverso non si trasformò mai in
curiosità né in imitazione.
vestres
, cioè i selvaggi, si svilupparono in due direzioni cre-
ando due opposti miti: quello del «cattivo selvaggio» e
quello «buon selvaggio». Sin dalla prima fase della con-
quista si imputavano a quegli uomini colpe che altro non
erano che le loro usanze, come l’indifferenza per il pudore;
li si accusava di ignoranza e di inettitudine solo perché non
conoscevano la scrittura e le lettere.
Ma c’era anche chi, come il domenicano Bartolomé de Las
Casas (1474-1566), li difendeva sottolineandone l’indole
mansueta.
Nella sostanza, fno al XVIII secolo le valutazioni su quegli
«uomini diversi da noi» oscillarono tra un giudizio di inci-
viltà, che sottolineava la superiorità europea, e quello di chi
vedeva nei selvaggi manifestazioni di una spontaneità e di
una libertà ormai soffocate nel Vecchio Mondo da vincoli
morali e religiosi.